L'Ecuador vota il no per sempre alle trivelle in Amazzonia
Il referendum ferma le estrazioni petrolifere e salva biodiversita' e tribu' indigenne
In questi giorni l'Ecuador e’ un po nelle cronache mondiali perche’ da paese relativamente tranquillo e’ stato invaso dai narcotrafficanti, sono in corso elezioni presidenziali, e c’e’ stato pure un terremoto. Se fossi un blog di cose geopolitiche extra trivelle parlerei di queste cose di cui sopra.
Il tema di questo post e’ invece un altro risultato elettorale straordinario dell’Ecuador: il no permanente a furor di popolo alle trivelle nello Yasuní, un parco nazionale in Amazzonia di cui abbiamo parlato tante volte, un sito protetto Unesco nel 1989 grazie alla sua grande biodiversita’ di uccelli, alberi, rettili ed anfibi. Alcune di queste specie non sono presenti da nessuna altra parte del mondo.
L’ecosistema dello Yasuní e’ fatto di foresta tropicale, ed e’ un sistema fragile popolato di tribu non contattate dal mondo moderno, i Tagaeri, Taromenane e Dukagaeri che non conoscono nulla della vita al di fuori del loro mondo amazzone, e da altre tribu contattate ma che scelgono di vivere ancora in modo tradizionale, i Waorani, i Kichwas e gli Shuar. Per loro l’Amazzonia e’ cas
Il voto e’ stato condotto al primo turno delle elezioni presidenziali, il giorno 20 Agosto, con buona affluenza alle urne. Non solo gli elettori hanno detto no, ma l’hanno detto con uno scarto di quasi 20 punti: 58% contro e il 41% a favore delle trivelle. In un referendum parallelo la capitale, Quito, ha votato anche contro l’estrazione di oro da Chocó Andino, un’altra riserva di biosfera protetta dall’Unesco, con il 68% dei voti contrari alle estrazioni e solo il 31% a favore.
Entrambi questi risultati sono importantissimi, perche’ segnalano che anche in Ecuador la difesa della natura e’ un tema che unisce, che trova grande consenso.
La storia dello Yasuní e’ contorta e lunga, segno, come sempre, che sfruttatori di vario genere perdono le battaglie ma ritornano sempre, specie quando hanno dalla loro parte tempo, soldi e il bottino e’ importante.
Nel 2007, il presidente dell’Ecuador Rafael Correa, offri’ una proposta al resto del mondo che iniziava proprio allora preoccuparsi dei cambiamenti climatici e della proliferazione senza fine di estrazioni di petrolio. L’Ecuador non avrebbe estratto nulla dallo Yasuní in cambio della creazione di un fondo monetario a beneficio del paese e del valore della meta’ degli 850 milioni di barili di petrolio stimati essere stipati sotto lo Yasuní . Fecero i calcoli e si arrivo’ alla cifra di 3.6 miliardi di USD.
Era sincero questo Correa? Erano sinceri gli occidentali nel voler preservare la biodiversita’ in cambio di denaro? Non lo sappiamo.
Sappiamo solo che questi soldi non arrivarono e cosi’ nel 2013 Correa cambio’ idea e permise l’estrazione di petrolio da un area di 20 chilometri quadrati. Non un area eccessivamente grande, visto che lo Yasuní e’ fatto di circa 10,000 chilometri quadrati, ma come sempre l’inizio e’ sempre e solo l’inizio. Dopo i primi 20 chilometri quadrati e’ facile passare ai secondi 200 e poi ad altri 1,000 e alla fine, voila’. Non resta nulla. L’ho predicato per tanti anni, il famoso compromesso con i potenti e’ sempre l’inizio di altri si.
Il progetto sorto su questi 20 chilometri quadrati fu completato nel 2016. Si chiama Ishpingo-Tambococha-Tiputini (ITT) oil project, ed e’ anche noto come blocco 43. L’operatore e’ stato per anni PetroAmazonas, ora confluita in PetroEcuador, entrambe ditte di stato.
In questi 7 anni di attivita’ il blocco 43 ha visto sorgere 230 pozzi nella foresta e dodici piattaforme lungo i fiumi e nelle zone portuali nelle vicinanze, portando all’estrazione di 57,000 barili di greggio al giorno, il 12% di tutto il petrolio estratto dall’Ecuador e dal valore di 4.2 miliardi di USD. Il ricavato dunque dopo solo 7 anni di attivita’ e’ molto di piu’ di quello previsto dal “patto internazionale” del 2007.
In questo momento di collasso del Venezuela, l’Ecuador e’ uno dei paesi piu’ produttivi del Sud America, ed il petrolio, da Yasuní ad altri campi petroliferi corrisponde dal 30% delle esportazioni del paese.
Come sempre pero’ questi anni hanno anche visto la petrol-devastazione ambientale: perdite, strade nuove costruite apposta per i camion del petrolio che hanno visto incidenti e riversamenti, morie di pesci, puzze e inquinamento.
Un primo referendum, promosso dal governo, arrivo’ nel 2018: il referendum passo’ e si allargo’ la zona vietata alle trivelle lasciando solo 3 chilometri quadrati in balia di PetroEcuador e compari nel blocco 43.
Ma secondo gli indigeni e gli ambientalisti non era sufficiente: un gruppo di attivisti riuniti sotto il titolo di Yasunidos per anni ha raccolto firme e organizzato proteste. Sono andati in ogni angolo dell’Ecuador a sensibilizzare, senza stancarsi mai. E’ stata dura perche’ il governo li ha spesso ostacolati, per esempio cercando di rendere difficile la convalida delle firme. Nel 2022 i tribunali dell’Ecuador hanno decretato che c’erano abbastanza firme e che la richiesta era legittima e che il quesito poteva essere presentato agli elettori.
Alla fine i Yasunidos ci sono riusciti. Ed eccoci qui, lo Yasuní e chiuso. Se la decisione dell’elettorato verra’ rispettata altre 700 milioni di barili di petrolio che restano sottoterra lo resteranno ancora. In piu’ il governo dovra’ fermare le operazioni esistenti nel blocco 43, smantellare tutta l’infrastruttura entro un anno, riforestare e bonificare quello che e’ stato gia’ danneggiato.
Ovviamente PetroEcuador dice che sara’ la catastrofe economica e che il paese perdera’ 1.2 miliardi di USD in incassi nel breve termine, e circa 16 miliardi nell’arco di 20 anni, inclusi 2 miliardi di investimenti diretti nello Yasuni. Dicono che il governo dovra’ ridurre la spesa sociale e molti servizi pagati dal petrolio andranno smantellati.
Probabilmente sara’ cosi e l’Ecuador dovra’ trovare altre strade, anche se l’agenzia di rating Fitch che ha appena abbassato il voto del credito dell’Ecuador a CCC+, stima le perdite petrolifera a 600 milioni di USD invece che a 1.2 miliardi. Fitch attribuisce la difficolta di investimenti nel paese alla troppa volatilita’ politica.
Qual’e’ dunque la risposta per l’Ecuador? La risposta, alla violenza, all’arrivo dei narcotrafficanti, all’economia malata non puo’ mai essere lo sfruttamento selvaggio delle risorse, tanto piu’ in questo caso dove la natura e’ spettacolare, e’ vita, e’ casa di qualcuno. E se 10 anni fa, nel 2013, Correa avesse deciso invece di puntare gli occhi su altri tipi di investimenti nella foresta amazzonica? Eco-turismo? Paradiso per i pensionati di altri paesi piu’ ricchi?
Mutatis mutandis, se avessero deciso di intraprendere la strada per diventare un’altro Costa Rica invece che un altro Venezuela?
Non e’ ancora tardi. Lo Yasuni e’ ancora li in tutto il suo splendore.
FANTASTIC!!!!